mercoledì 4 giugno 2008

C’è posto per Dio tra i quark e il Big Bang?

La religione è stata la levatrice della scienza. La nascita della fisica moderna e dell'astronomia nel diciassettesimo secolo fornirono la risposta alla credenza in un Dio metodico che aveva organizzato l'Universo secondo principi razionali, e che perciò si potevano riconoscere mediante un'indagine razionale. Le leggi matematiche erano viste come l'espressione di un ordine universale nella natura, una testimonianza della cura con la quale Dio aveva disegnato l'Universo fisico. Maturando, la scienza prese a separarsi dalla religione, e le leggi della fisica e le leggi della natura diventarono fini a se stesse, bruti fatti empirici piuttosto che prodotto di un disegno o di un progetto. I fisici in particolare sono oggi talmente abituati a trovare la natura così in accordo coi principi matematici, che quasi nemmeno si meravigliano più della sbalorditiva semplicità ed eleganza delle leggi fisiche. I conflitti storici fra scienza e religione istituzionalizzata Copernico, Galileo, Darwin - hanno reso le due comunità sospettose e diffidenti l'una dell'altra, col risultato che la scienza va avanti per conto suo, mentre i teologi sono diventati abbastanza saggi da non sfidare più gli scien­ziati sul loro proprio terreno.

Tuttavia, nonostante questa separazione, si ha l'impressione sempre più forte che i recenti sviluppi, almeno per quanto concerne la cosiddetta nuova fisica e la nuova cosmologia, stiano riaprendo una discussione su molti temi teologici tradizionali. Nonostante si viva nell'età della scienza e della tecnologia, la grande maggioranza della gente comune, compresi molti scienziati, seguitano a credere in qualche specie di Dio. Per queste persone, la scienza si potrebbe considerare come una specie di rivelazione sistematica dell'opera divina.

Ma la nuova fisica, che specie di Dio ci sta rivelando? C'è qualche rassomiglianza con l'antica nozione di un Creatore onnipotente, una Mente universale ed infinita, onnisciente, padrona dell'Universo e interessata essa stessa alle umane vicende?

Il problema della creazione è forse quello più appassionante, come dimostrerebbe la curiosa risorgenza delle idee creazioniste negli Stati Uniti. La maggior parte degli scienziati è d'accordo nel ritenere che l'Universo non è sempre esistito. La teoria del Big Bang, che tutti ormai conoscono, sostiene che l'intero cosmo venne in essere, improvvisamente, circa 13 miliardi d'anni fa, in un lampo di intenso calore ed energia. Uno dei maggiori trionfi della scienza postbellica è stata la scoperta di reliquie o "fossili" dell'esplosione primi­tiva. In realtà, i cosmologi sono tanto sicuri della sostanziale correttezza dello scenario del Big Bang, da scrivere interi libri di testo Sui più piccoli dettagli dei primi pochi minuti; e tengono conferenze Sui processi che si pensa siano avvenuti perfino entro il primo secondo.

Tuttavia, la teoria del Big Bang presenta degli aspetti straordinari che vanno ben oltre il semplice racconto biblico della creazione. Il Big Bang, infatti, rappresenta il venire in essere non solo della materia e dell'energia, ma anche dello spazio e del tempo. È un'affermazione sorprendente e che lascia perplessi perché siamo abituati a pensare allo spazio e al tempo come a qualcosa che semplicemente c'è. La nozione di un inizio del tempo, odi un momento prima del quale lo spazio non esisteva, è del tutto estranea alla nostra intuizione. Ciò non di meno, le osservazioni dimostrano che spazio e tempo si possono curvare, stirare e restringere. Queste distorsioni sono prodotte dalla gravitazione. Se il nostro Universo dovesse crollare completamente su se stesso per l'azione della propria gravità, quel che si dice il Big Crunch, "la gran stritolata", la distorsione crescerebbe senza limiti fino al totale annullamento dello spazio-tempo. Analogamente, sembra che l'Universo sia stato eruttato da una simile condizione singolare.

Che lo spazio e il tempo facciano parte del mondo fisico, uniti intimamente l'un l'altro e alla materia, è fuori dubbio. Spazio e tempo cambiano e si sviluppano secondo precise leggi matematiche allo stesso modo della materia. Questa nuova concezione dello spazio e del tempo come parte dell'Universo fisico, soggetto a leggi naturali che si possono controllare sperimentalmente, ha profonde implicazioni per il concetto di Dio. Nella religione cristiana, Dio è l'essere soprannaturale, al di sopra e al di là della Natura, autore anche della creazione del mondo fisico. Ciò deve significare, perciò, che Dio è al di fuori dello spazio e del tempo. Altrimenti, sarebbe soggetto a quelle stesse leggi fisiche che si suppone Egli abbia liberamente creato.

L'idea di un Dio al di là o al di sopra del tempo, un Dio che ha creato il tempo, non è nuova. Sant'Agostino di Ippona scriveva nel quinto secolo: 'Tu stesso hai fatto il tempo... Il mondo è stato creato col tempo, non nel tempo." Questa è una notevole anticipazione del moderno quadro scientifico della creazione, sebbene non sia senza i suoi inconvenienti. Un Dio atemporale non assomiglia molto a quello descritto nella Bibbia e adorato per secoli dai Cristiani. Il Dio cristiano è un Dio che ha progettato l'Universo, e siederà per giudicarlo. Si suppone che Egli esaudisca le preghiere, segua il progresso spirituale degli esseri umani, e occasionalmente agisca anche direttamente nel mondo, come nel caso dei miracoli. Ma progettare, giudicare, comunicare, pensare e agire sono tutte attività temporali. Cosa signi­fica affermare, per esempio, che Dio pensa al di fuori di ogni tempo?

Questo dilemma - che se Dio anche remotamente assomiglia a una mente, allora Egli deve essere immerso nel fiume del tempo - non è stato trascurato dai moderni teologi, che su questo argomento sostengono una varietà di opinioni. Pensare a un Dio nel tempo significa rinunziare alla sua onnipotenza, perché egli allora sarebbe soggetto, in qualche modo, a leggi che lo sovrastano: le leggi della fisica. Inoltre, un Dio nel tempo logicamente non dovrebbe essere ritenuto responsabile di averlo creato, cosicché egli non potrebbe più essere il vero creatore dell'Universo. Né sarebbe un Dio eterno, perché non avrebbe potuto esistere prima del Big Bang, e sarebbe distrutto dal Big Crunch quando il tempo smetterà di esistere.

Per un fisico il concetto di un Dio atemporale non è così imbarazzante. La Teoria della Relatività di Einstein considera un non-senso la nostra visione intuitiva del tempo, con la suddivisione ordinata fra passato, presente e futuro, nel suo enigmatico "fluire". La Relatività nega un momento presente, universale o assoluto e incoraggia una rappresentazione in cui il tempo ha una sua oggettività è come un'altra dimensione dello spazio.

Inoltre, Einstein ha dimostrato che lo spazio-tempo è la manifestazione della gravitazione, e si può considerare come un campo di forza. Di recente è diventato di moda cercare di unificare questo campo di forza dello spazio-tempo con gli altri campi di forza: elettromagnetico e nucleare. Il quadro concettuale per questa inebriante impresa è la fisica quantistica, dove i campi acquistano qualità simili a quelle delle particelle (per esempio, il campo elettromagnetico viene descritto da fotoni). Se il progetto avrà successo il tempo sarà non più da considerarsi un concetto primitivo, ma solo una componente, in una complessa e astratta struttura che unisce materia, spazio-tempo, e forza in un semplice schema descrittivo. In tal caso, forse smetteremo di attribuire uno stato teologico privilegiato a questa misteriosa qualità.

Sebbene la nuova fisica abbia molto da dire sul concetto di Dio-Creatore, essa getta nuova luce anche sul Dio-Architetto. Nel XIX secolo i teologi si appellavano volentieri al cosiddetto argomento teleologico per l'esistenza di Dio, che oggi potrebbe tradursi così: il mondo fisico dispiega una sbalorditiva varietà di strutture ed un'elaborata organizzazione, a partire dal mondo microscopico all'interno dell'atomo, su su attraverso la complessità dei sistemi viventi, fino all'intricata organizzazione delle galassie. Dovunque si guardi nella Natura, riscontriamo ordine; il quale non può essere nato da un cieco caso, ma, si afferma, deve essere il prodotto del disegno di una mente. La meravigliosa armonia della natura, in cui materia, forza ed energia interagiscono così bene e in tanti modi, può solo significare (si conclude) che l'Universo ha uno scopo.

L'argomento teleologico ha sofferto un grave colpo dalla teoria dell'evoluzione di Darwin, che ha dimostrato che l'ordine può nascere spontaneamente nei biosistemi come un risultato di accidentali mutazioni e per selezione naturale. Più di recente, fisici e chimici sono arrivati a capire una gran varietà di altri sistemi manifestamente auto-organizzatisi, mediante lo studio della termodinamica dei sistemi non in equilibrio. Ma sebbene l'argomento fosse caduto in disuso, ecco che ora è stato nuovamente invocato dal movimento creazionista, che si chiede come mai, su scala cosmologica, l'ordine possa essere nato dal caos primordiale del Big Bang senza l'intervento di un ente soprannaturale. Il loro argomento si appella alla seconda legge della termodinamica, una legge universale della fisica che proibisce che in ogni sistema chiuso la quantità totale di ordine possa aumentare.

Per risolvere questo paradosso fisico occorre un'accurata analisi. L'Universo può essere assimilato. a un enorme meccanismo in lento rallentamento via via che inesorabilmente esaurisce la riserva di energia che lo muove. Il mistero riguarda il modo in cui il meccanismo è stato caricato in origine. I creazionisti hanno ragione nell'indicare che un sistema chiuso non può caricarsi da sé, ma in un certo senso non si può affermare che la materia cosmologica distribuita nell'Universo costituisca un sistema chiuso. Invece è un sistema aperto, non necessariamente in senso spaziale, ma rispetto al campo cosmologico gravitazionale. Questo si riscontra, per esempio, nel fatto che l'Universo non è statico, ma si espande in conseguenza della sua origine dal Big Bang. È questa espansione che fornisce il meccanismo di carica, agendo come una specie di riforni­mento di energia dall'esterno.

Curiosamente, in questa confutazione resta una fessura che solo di recente è stata tamponata. Ci si potrebbe chiedere da dove il campo gravitazionale abbia tratto il suo stock di energia utile, per effettuare la carica iniziale. Studi teorici ora suggeriscono che alle temperature fantastiche raggiunte nel Big Bang una bizzarra forma di antigravità si sarebbe momentaneamente impadronita dell'Universo, causando un periodo di rapida espansione. Quando un gas ordinario si espande, la legge della conservazione dell'energia richiede che l'energia interna diminuisca di tanto quanto è il lavoro che la pressione del gas esercita contro le pareti del contenitore. Nella fase antigravitazionale agli inizi dell'Universo, la pressione della materia cosmologica era negativa, così da guadagnare energia coll'espandersi. L'antigravità gonfiava il cosmo, e così facendo sovraccaricava l'Universo di enormi quantità di energia, quella che oggi guida tutti i processi che arricchiscono il mondo intorno a noi con tanta squisita vitalità e complessità. Questa fase di instabilità, unica nella storia dell'Universo, assegna al campo gravitazionale il ruolo di un miracoloso contenitore di energia potenzialmente illimitata, sebbene (ahimè!) la fase di caricamento sia ormai finita da tempo e l'Universo sembri destinato a continuare a precipitare verso uno stato finale di inattività.

Nonostante che la nuova fisica e la cosmologia forniscano convincenti meccanismi per spiegare l'origine di strutture complesse nell'Universo senza il bisogno di ricorrere a una Divinità organizzatrice, resta il problema di un'altra specie di ordine: l'ordine che si manifesta nelle leggi fisiche medesime. Il semplice fatto che ci siano delle leggi, che materia ed energia non si comportino in modo caotico e casuale, sembra a molti la prova evidente dell'esistenza di un disegno superiore. Col progredire della nuova fisica, gli scienziati continuano a imbattersi in altre notevoli prove dell'organizzazione e della bellezza della Natura. Le nuove simmetrie astratte che si scoprono nella materia subnucleare in seguito agli esperimenti di collisioni ad altissime energie, ci rivelano un mondo microscopico di straordinaria eleganza e coerenza. Frammenti di materia si connettono fra loro in famiglie interdipendenti, legate da astratte operazioni matematiche che solo pochi anni fa nessuno immaginava nemmeno. L'uso dell'analisi matematica ci ha permesso di mostrare che l'esistenza della vita, e quindi degli osservatori, nell'Universo dipende in modo quanto mai delicato dai dettagli di queste connessioni, tanto che se la Natura avesse cambiato di un'inezia i suoi numeri, l'Universo sarebbe precipitato in uno sterile caos.

Questi aspetti e altri, dedotti dalle frontiere della fisica e della cosmologia hanno convinto, almeno me, che nell'Universo c'è molto di più di quanto non colpisca gli occhi. I concetti che stanno emergendo dalla nuova fisica intersecano il tradizionale dibattito religioso, offrendo aspetti del tutto nuovi sulla possibile natura di Dio e le sue relazioni coll'Universo fisico. Così, dopo molti decenni di sviluppo separato, la scienza può offrire interessanti spunti all'uomo di fede: come al solito, ha qualcosa di importante da dire. Speriamo che il mito della scienza, considerata come una ricerca impersonale e senz'anima, non impedisca al resto del mondo di porgerle ascolto.

PAUL C.W. DAVIES. Professore di Fisica Teorica dell’Università di Newcastle-upon-Tyne, si è laureato in Fisico presso l'University College di Londra nel 1967. Ha scritto diversi libri, due dei quali sono stati tradotti anche in italiano: L'Universo che fugge, Mondadori, 1979; Spazio e Tempo nell'Universo, Laterza, 1980. I suoi interessi si rivolgono a ricerche nel campo della fisica teorico, della cosmologia, della gravitazione, della struttura dello spazio-tempo e della natura del tempo.

 

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